Secondo la mia opinione la soluzione di Gianluca è valida se l'acronimo
risulta traducibile al 100%, senza dar adito a duplici significati;
evito se posso la possibilità di dare l'impressione di coniare nuovi
termini informatici o di fare voli pindarici per fornire una spiegazione.
In tali casi, cerco di trattare l'acronimo come un nome proprio,
pertanto lo lascio intatto.
Gli anglosassoni molto spesso tendono ad usare impropriamente le lettere
maiuscole, producendo titoli o frasi in cui ciascuna parola inizia con
la lettera maiuscola. In tale caso, se la circostanza mi consente di
essere certo che non si tratti di un acronimo, lo traduco e rendo tutto
minuscolo, come si usa per la nostra lingua.
Gianluca Busiello ha scritto:
Effettivamente non è bellissimo in italiano e nella prima
traduzione
era stato lasciato non tradotto.
Penso però che la traduzione deve essere quanto più possibile
orientata all'utente inesperto e per questo "mi sono forzato" a
tradurlo...
...magari per coerenza con la sigla si potrebbe comunque tradurre e tra
parentesi mettere l'originale, ad es:
Questo pacchetto contiene l'utilità di test delle macchine astratte
(Abstract Machine Test Utility - AMTU)...
Come vi pare?
Gianluca
Silvio Pierro wrote:
> Altra domanda su specspo:
> spesso, nella descrizione dei pacchetti appaiono degli acronimi
> es: Abstract·Machine·Test·Utility·(AMTU)
>
> Questi acronimi vanno tradotti?
>
> effettivamente scrivere "Utilità di Test delle Macchine Astratte (AMTU)"
> è più comprensibile per l'utente medio, però si perde la comprensione
> immediata del nome del pacchetto vs acronimo (UdTdMA??); per ora sto
> lasciando gli acronimi inalterati......
>
> Voi che ne dite?
--
Francesco Tombolini <tombo(a)adamantio.net>
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